Una settimana dopo l’8 marzo #editoriale

Sono trascorsi quasi 10 giorni dalla Festa della Donna e per dieci giorni sono ruzzolata sull’idea di scrivere un articolo sulla donna, sulla celebrazione della donna, sull’identità della donna, sulla vera finta storia che sta dietro all’otto marzo, sulle donne nella letteratura e altre fesserie.

L’unico risultato è stato un noioso flusso di coscienza che ha esitato in un elenco simile alla lista della spesa…

La donna è mobile. Hai freddo? Ciccia e brufoli. La figlia del capitano. Alle donne piace la cioccolata. La costola di Adamo. Dolce, strana, creatura. Hai il ciclo? Dolcemente complicate. Zitella e lunatica. Elena di Troia. Didone. Eva. La regina di Saba. Babi. Ho bisogno di tempo. Matilde sei mitica. Margherita (e il maestro). La lupa. Questa ragazza qui è un po’ acidella. Perché tu vali. Non sei portata per la matematica. Una stanza tutta per sé. Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori. Lady Chatterley. Chi dice donna dice guai. Prostituta. Santa. Dark lady. Deputata. Signorina. La donna baffuta. Cicciona. Ti agiti senza motivo. Anoressica. La mala femmena. Giulietta. La moglie ubriaca. Donne, tututu. La nonna Ace. Le donne hanno bisogno di amore per fare sesso. Mss Dalloway. Suocera. Mio peccato, mia anima. Salomè. Bellissima. Casa di bambola. Era solo un complimento. La mamma è sempre la mamma.

Mi sono chiesta che senso avesse questo sforzo e mi sono accorta che in quel momento non ne aveva alcuno. Stavo in qualche modo cercando di cogliere l’occasione per scrivere un pezzo su un argomento mostruosamente cliccato nel corso delle 24 ore tra le 23:59 del sette le 00:00 del nove marzo – cosa che normalmente non perdo l’occasione di fare. Cosa è andato storto?

Vorrei tralasciare la parte avuta dai miei impegni, tuttavia non la tralascerò, pur non scendendo nei dettagli.

La letteratura, le cronache, il gossip, le barzellette sono piene di donne, eppure nessuna di esse sono io. Non è una frase da slogan femminista, eppure è vero: nel mondo del “chi parla-scrive-filma” c’è un enorme sforzo di esemplificazione delle figura della donna. Il risultato è un moltiplicarsi di modelli, storie, caratteristiche fisiche la cui coerenza risulta alquanto impressionante.

L’arte del racconto e della raffigurazione ovviamente si rivolge anche agli uomini: eppure non ho mai la sensazione che ci sia un modello esplicativo divulgato dalle loro rappresentazioni. Per quanto la donna possa essere rappresentata dalla sua gonna o dalle sue tette, non ci accade di identificare l’uomo con i suoi pantaloni o il suo pene. La stessa cosa vale per il cervello: si ricorda Marie Curie per il suo gran cervello, eppure qualcuno ha mai provato interesse per come apparisse davvero? Avete mai googlato la foto di Marie Curie? Io stessa non l’ho mai fatto, anche se sono colpita dalle fotografie di Albert Einsten e Sigmund Freud: e non vedo il loro cervello, ma loro – come uomini.

La donna è penalizzata perché è una persona e allo stesso tempo un concetto astratto?

Lo si potrebbe sospettare, visto lo scarso interesse per quello che le donne oggi effettivamente fanno dalla mattina alla sera – e i loro problemi. Le stesse donne, europee ed italiane, spesso non sono consapevoli di appartenere ad una “categoria” che nel giro di 60 anni ha guadagnato il diritto di voto, al lavoro, all’istruzione, all’indipendenza personale ed economica. Parlando della mia generazione, la maggior parte di noi lavora (o è in cerca di un lavoro), studia, vive e viaggia da sola, si mantiene da sola o si batte per farlo, esattamente come gli uomini. Le differenze sono ormai ridotte all’osso, anche se all’emancipazione pratica nella vita quotidiana si affianca un tracollo dei valori tradizionali a cui è seguito un vuoto senza nome.

La donna è sempre la donna, quell’essere vulnerabile e fisicamente inferiore. Se incontra problemi, nella sua vita “da uomo”, perché sforzarsi di comprenderla?

Questo atteggiamento è subdolo nella nostra società, ma raggiunge picchi insopportabili in alcuni paesi a noi vicini, come la Turchia. Come abbiamo appreso dai giornali, una studentessa ventenne è stata uccisa dopo una violenza sessuale, una sera mentre tornava dall’Università. Ho letto in qualche racconto che l’aggressore avrebbe affermato che “una ragazza dovrebbe aspettarselo se sta per la strada dopo il tramonto”, o una formula equivalente. La risposta degli uomini turchi che hanno manifestato, indossando la minigonna, è stata forse quella più giusta e più umana che potesse essere data.

Una ragazza dovrebbe aspettarsi di rimanere disoccupata, se sceglie di andare a lavorare. Una ragazza dovrebbe aspettarsi di essere lasciata, se sceglie di andare a fare un master all’estero. Una ragazza dovrebbe aspettarsi di essere presa in giro, se sceglie di lavorare in un cantiere dove la maggior parte dei lavoratori sono uomini. Una ragazza dovrebbe aspettarsi di non farcela, se sceglie di fare cose da uomo.

Della serie “te la vuoi”.

Per questa volta, vorrei lasciare da parte la letteratura ed esprimere una riflessione a dieci giorni dall’otto marzo: attualmente, molte donne studiano o si formano fino ai venticinque anni, non programmano il matrimonio, non fanno dell’avere figli la propria priorità, dividono i lavori domestici con i loro partner oppure danno lavoro ad un’altra persona che sistemi la casa.

Nessun’uomo che si lancia nella carriera, si avvisa che potrebbe rimpiangere una famiglia, dei figli, una casa – mentre per la donna avviene il contrario, come se la famiglia, i figli, la casa facessero parte soltanto del suo repertorio.

Questa situazione sta cambiando: le coppie sono cambiate, l’accudimento dei figli è cambiato, il lavoro sta cambiando. Ma la testa, ma la testa, ma la testa no.

festa-della-donna-2014-al-ristorante-per-festeggiare-in-compagnia